La Vita di S. Tommaso d’Aquino

Nel quadro della seconda generazione domenicana il più celebre dei frati meridionali, non soltanto nel Regno e nell’Italia, ma in tutto il mondo e in tutto l’Ordine, fu un figlio del convento di S. Domenico Maggiore di Napoli, fra Tommaso d’Aquino. L’importanza del personaggio è tale che richiederebbe uno spazio ben diverso, ma, data proprio questa celebrità ed il facile accesso a letture specifiche, è opportuno limitarsi a pochi elementi.

Era nato nel castello di Roccasecca dal conte d’Aquino Landolfo e dalla nobile napoletana Teodora nel1225 o 1226. All’età di cinque anni, il padre lo condusse a Montecassino, affidandolo ai monaci per la prima educazione e formazione. Nel 1236 fu portato a Napoli per continuare gli studi. Un aspetto particolare di questi anni fu l’apprendimento della logica da Martino di Dacia e della fisica da Pietro d’Irlanda, seguendo i testi aristotelici che Federico II aveva fatto tradurre da Michele Scoto. E Tommaso assimilò così bene tali studi da non ricusarsi, nonostante la giovane età, di partecipare a dibattiti e confronti in pubblico.

In questo periodo (1236-39) conobbe i padri domenicani di S. Michele Arcangelo a Morfisa, attratto particolarmente dalla predicazione di fra Giovanni di S. Gemignano e di Tommaso da Lentini. Quando un giorno Tommaso manifestò il desiderio di farsi frate, fra Giovanni non si lasciò sfuggire l’occasione di coltivare con esortazioni ed incoraggiamenti la nuova vocazione. Nel 1243 o 1244, fu accolto come novizio dal priore fra Tommaso da Lentini. Quindi, ad evitare possibili ostacoli, la comunità napoletana decise di inviarlo a Parigi, ove avrebbe potuto continuare gli studi. I timori dei frati erano però fondati. Infatti, la comitiva diretta a Parigi si trovava ancora ad Acquapendente, quando fu raggiunta da una schiera di armati guidati dai fratelli di Tommaso, Arnoldo e Landolfo. Strappatogli l’abito, questi lo ricondussero dalla madre nel castello di Roccasecca. Con tali precedenti, nel suo caso non è da escludere la veridicità della leggenda della bellissima donna mandatagli dai fratelli per tentarlo e dissuaderlo dalla vocazione religiosa. Per due anni comunque fu ivi segregato, anche se non gli fu impedito di studiare la Sacra Scrittura, il «Libro delle Sentenze» e la logica aristotelica.
Nel 1246 finalmente i familiari lo rilasciarono, ridandogli la libertà di seguire la sua vocazione. Lo stesso anno lasciava l’Italia, fissando la sua dimora a Colonia, ove seguì le lezioni di Alberto Magno sul corpus degli scritti dello Pseudo Dionigi e sull’Etica Nicomachea di Aristotele. Con la stima del maestro, che lo raccomandò come maestro dei giovani frati, si recò a Parigi, ove a soli 26 anni, divenne baccelliere, titolo corrispondente all’attuale assistente o ricercatore. Teneva cioè delle lezioni (S. Scrittura e Libro delle Sentenze) sotto la guida di un maestro dottore.

Nel 1257, per volere di Alessandro IV, insieme a Bonaventura e contro l’opinione dei docenti, fu aggregato ai professori dell’università. Furono questi anni particolarmente fecondi di opere teologiche e filosofiche.
Nel capitolo generale di Valenciennes del 1259 fu uno dei cinque frati che stilarono la ratio studiorum, un documento che diede una svolta (nel senso di una maggiore apertura alle scienze anche non strettamente ecclesiastiche) importantissima alla concezione dello studio da parte dell’Ordine.

Nel 1260 fu chiamato dal papa ad Anagni, ove risiedeva la curia pontificia. Insegnò teologia nei corsi organizzati dalla curia stessa per ben otto anni, ad Anagni prima, a Viterbo ed Orvieto poi. Fu ad Orvieto che incontrò il confratello Guglielmo di Moerbecke che, pur èssendo di una corrente filosofica diversa, lo aiutò con ottime traduzioni dal greco in latino. Su tali traduzioni Tommaso condusse i suoi commenti filosofici.

Fra il 1269 ed il 1272 fu di nuovo a Parigi per un secondo triennio di insegnamento, durante il quale, sopitasi la lotta con gli intellettuali laici, si inasprì quella con i francescani, che si mantenevano sulla tradizione platonica di S. Agostino.
Tommaso invece da tempo, insieme ad Alberto Magno, aveva scelto una strada nuova di pensiero, quella dell’aristotelismo, che incentrava la riflessione filosofica sull’essere come concetto e realtà primordiale. La Chiesa e la stessa cultura cattolica del tempo guardavano all’aristotelismo come ad una filosofia ateistica. Ma Alberto e Tommaso ne evidenziarono le grandi potenzialità in vista di
un nuovo e più dinamico sistema teologico.

A complicare poi i rapporti con i rappresentanti del francescanesimo c’era anche la circostanza che all’università l’aristotelismo dominante era quello averroistico di Sigieri di Brabante, che sosteneva l’unità dell’intelletto attivo per tutta l’umanità. Negandolo nei singoli individui, ne conseguiva la negazione dell’immortalità dell’anima individuale. Tommaso, coadiuvato attivamente da Alberto Magno, combatté sia l’averroismo che, specialmente per la teoria della conoscenza, l’agostinismo francescano (che poneva l’inizio del conoscere, non nella sensorialità umana, ma nell’illuminazione divina). Nel 1272, al termine del secondo triennio parigino, Tommaso fu richiamato in Italia per animare e riorganizzare gli studi generali di Napoli e di Orvieto.

Giunto a Napoli, non si limitò a curare lo studio dell’Ordine ma, assecondando un desiderio di Carlo I d’Angiò, tenne corsi di filosofia anche all’Università. A questo periodo risale la tradizione che, mentre pregava in S.Domenico Maggiore dinanzi all’altare di S.Nicola, il crocifisso gli parlò dicendo: Bene scripsisti de me Thoma, quam ergo mercedem recipies?
Nella Pasqua del 1273 ebbe l’invito dal papa Gregorio X a partecipare al concilio di Lione che avrebbe avuto luogo l’anno successivo. Nel dicembre, pur non avendo mai avuto problemi di salute, Tommaso avvertì qualche malessere e dovette interrompere la composizione della sua opera maggiore, la Summa Theologica.

Nel mese di febbraio del 1274 era in viaggio per recarsi a Lione quando, giunto all’abbazia di Fossanova (presso Latina), si ammalò al punto da non poter procedere. Segnalando un sospetto in tal senso, Teodoro Valle notava: come dicono fidi Autori, quali vogliono che per una correttione, o sinistra suspitione di Carlo I Re di Napoli fusse avvelenato. Avvelenato o meno, resta il fatto che i medici non riuscirono a diagnosticare il male che il 7 marzo del 1274 portò fra Tommaso nella tomba.

L’orazione funebre la tenne fra Reginaldo da Piperno, confessore personale del Santo, al quale Tommaso aveva dedicato vari opuscoli filosofici e teologici (Ad fratrem Reginaldum Socium suum carissimum). A lui Tommaso aveva confidato non pochi dei suoi segreti più intimi. Secondo una tradizione riportata dal Valle, lo stesso fra Reginaldo, insieme a fra Giacomo di Caserta, trovandosi nel convento di Salerno dopo il mattutino, ebbe il privilegio di vedere il Santo sollevarsi in aria per due cubiti dinanzi all’altare maggiore. Sembra accertato comunque che certi commenti tomistici siano stati scritti da fra Reginaldo mentre ne ascoltava le lezioni.

Soprannominato Doctor angelicus, oltre che Doctor communis, fu canonizzato nel 1323. Non si contano i pronunciamenti papali per raccomandarne la dottrina, che è divenuta la teologia ufficiale della Chiesa. Nel 1567 fu proclamato Dottore della Chiesa e il 4 agosto 1880 patrono delle scuole e delle università cattoliche.

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